Reparto da qui
di Sarah di Piero
(Argolibri, 2019, euro 12)
"Ma qua dentro, che vita non c'è", "Noi non siamo solo pazienti, ma anche uomini dispersi". Nei versi di Sarah di Piero, anche parole semplici e brevissime, come "ma", "solo", "anche" (per fare alcuni esempi) pesano come macigni di cemento armato. Lo stesso da cui pare essere blindato il mondo dei reparti psichiatrici che la giovane scrittrice anconetana punta, con una sorta di magia - a tratti nera, a tratti bianca - a farci scoprire con un impatto forte, quasi senza filtri. E riesce ad aprirci le porte di luoghi d'inferno e altissimo disagio, senza appendere all'uscio il cartello "compassione". Anche se lei, quel mondo, l'ha vissuto dall'interno, con profonda sofferenza alternata alla speranza di una vita vera, diversa, esterna. Sprazzi di vita, là fuori, sfuggenti ma che non le sfuggono. Perché li ha agguantati, fatti suoi, anche nella dimensione collettiva dei "non pazienti".
La realtà di quei reparti - che in genere può solo essere immaginata, intuita, dedotta - in questa raccolta di 44 poesie dal titolo "Reparto da qui" - irrompe nell'immaginario e nella sensibilità del lettore: una lirica che ferisce, emoziona, invita a riflettere. Un susseguirsi di componimenti che raccontano flash della quotidianità ospedaliera, scandita da riti, regole, abitudini parte di uno schema rigido come una gabbia, ripetitivo, come un'ossessiva "Litania". In questi flash d'esistenzialità "costretta" l'autrice descrive il suo interagire, oltre che col profondo della
sua anima, con chi condivide la sua condizione di disturbo mentale. Un interagire con individui elevati, giustamente, al livello di persone "tout court" (coi loro eccessi, amnesie, rifiuti) e quindi a volte conflittuale, ma in altri casi empatico. Né mancano passaggi in cui i compagni di sventura vengono delineati come una massa, un corpo unico quasi muto e indifferenziato.
C'è sofferenza, certo, ci sono tante sensazioni, sogni e visioni intime, ma anche molto talento, nello stile di Sarah. Il suo è un modo di scrivere musicale, alternando versi più rabbiosi e materiali ad altri più delicati e incorporei, con un lessico mai banale, mai pomposo. E poi, quell'uso, nel comporre i testi, dei colori, così contrastanti con gli ambienti di cura bianchi, asettici, alienanti.
"Urlo", ecco un altro termine che ci cattura, nel "poetare" di Sarah. A volte è un "Urlo dall'orlo", come lanciato dal bordo di una fossa oscura, diabolica. Di chi sente di aver toccato il fondo, ma anela, a seconda dell'energia del momento, a risalire verso il bilico, per ripartire, uscire. A volte, quindi, "Urlo più di prima", grida Sarah. In questo urlo c'è tutta la grinta di chi vuole utilizzarla fino all'ultima goccia la sua energia ribelle, per continuare a combattere, per spingersi sempre più oltre, avanti, verso la libertà della salute, della guarigione, della bellezza, anche quando queste mete appaiono lontanissime. Lontanissime, ma possibili. "Proprio l'arte e la scrittura sono per me uno strumento per uscire dal disagio. - ha detto Sarah Di Piero durante la presentazione di "Reparto da qui" nella libreria Fogola, ad Ancona, il 12 gennaio scorso - E io ho attinto fortemente dall'esperienza psichiatrica vissuta in prima persona per tirarmene fuori attraverso la poesia. Del resto l'arte e la letteratura sono state sempre importanti per me (è al suo terzo libro di poesie dopo i primi due editi da Pequod, ha vinto un premio ad un concorso per autori di cortometraggi, ha studiato canto, ndr.), mi hanno sempre aiutato, e ora sto cercando di scrivere un romanzo".
Diego Serpilli e Giampaolo Milzi
(tratto da Urlo-mensile di resistenza giovanile n° 268 gennaio-febbraio 2020)